Nigrazza di Palizzi

Famiglia Vitacee 

Palizzi, un tempo considerata una zona con una forte tradizione vitivinicola, era rinomata per la qualità del suo vino, tanto che i francesi arrivavano fino a Porto Palizzi per caricare mosto con cui tagliare i loro vini fino all’unificazione del Regno d’Italia. Tuttavia, la guerra tariffaria tra Italia e Francia alla fine del XIX secolo portò alla perdita dei clienti francesi, causando un declino nell’industria vitivinicola locale.
I francesi avevano indicato ai vignaioli della zona quali vitigni utilizzare per produrre vino rosso di qualità, concentrando così la produzione su un numero limitato di varietà e riducendo la biodiversità.
Palizzi era suddivisa tra i baroni Nesci e De Blasio, che possedevano vaste proprietà terriere e vigneti. I vigneti dei De Blasio erano concentrati intorno al loro antico castello, mentre quelli dei Nesci erano dislocati anche nell’entroterra. La vendemmia avveniva in tempi diversi a seconda dell’altitudine dei vigneti, con inizio nelle aree vicine al mare.
Fino agli anni ’50, l’industria vitivinicola fu vitale, con numerosi palmenti che trasformavano le uve in mosto. Tuttavia, con l’emigrazione di massa, i campi furono abbandonati e le vigne scomparvero. Di recente, c’è stata una piccola ripresa grazie all’impegno del barone Harimberg e di altri attori locali. I nuovi vigneti impiantati non sono costituiti da varietà locali, ma da vitigni internazionali e nazionali.
Si racconta che agli inizi del ‘900 i vignaioli locali non fossero capaci di combattere l’oidio e furono i siciliani a portare la loro competenza in Calabria. Durante queste campagne contro l’oidio, i siciliani individuarono a Palizzi o a Bianco un vitigno eccellente che portarono in Sicilia e chiamarono Calabrese o Nero d’Avola. La varietà locale è la Nigrazza, che produce grappoli medio-piccoli, dagli acini sub-ovali abbastanza radi e ricchi di pruina, dalla maturazione medio precoce e nota per la qualità del suo vino.